mercoledì 4 giugno 2014

Dallo strizzacervelli allo psicologo: un percorso (in salita) contro il pregiudizio

Molto spesso, forse la maggior parte delle volte, la figura dello psicologo si rivolge alla parte SANA della popolazione, una parte sana che ha pur sempre bisogno di essere nutrita, sostenuta e, perché no, orientata, nelle diverse situazioni e a seconda delle diverse esigenze con le quali ci confrontiamo. Una professione che non si rivolge necessariamente alla patologia, dunque, ed è questo un punto al quale io tengo in particolar modo, al fine di avvicinarci alla popolazione tutta, sradicando quei pregiudizi che troppo spesso si frappongono tra chi vorrebbe richiedere un aiuto, o piuttosto solo una consulenza o un intervento, e il ricercarlo, poi, concretamente. Purtroppo molte volte si ritiene di dover tenere nascosti i propri disagi, così da non poter essere giudicati dagli altri, tendendo a non richiedere sostegno per vergogna, imbarazzo, per paura di non essere capiti, o di essere etichettati come “malati di mente”. Ma sono anche e soprattutto i “malati di niente” quelli a cui noi intendiamo rivolgere i nostri interventi. Ancora oggi tendiamo a confondere il disagio psichico con la malattia mentale, vissuta come uno stigma. Molte persone credono che rivolgersi ad uno psicologo per un sostegno, una consultazione o una psicoterapia, sia necessario solo in presenza di gravi psicopatologie. Questa errata convinzione contribuisce ad alimentare diffidenza e vergogna  nelle persone che sentono di aver bisogno di un aiuto, e fa sì che lo richiedano solo dopo mesi, o addirittura anni di sofferenza, magari vissuta in piena solitudine. Al contrario, ciascuno nel corso della vita può affrontare un momento di difficoltà, sofferenza o confusione.  Questo atteggiamento, ampiamente diffuso tra la popolazione, contribuisce a rendere sfocata la figura dello psicologo, ancora non pienamente radicata nel tessuto sociale e culturale. C’è ancora un alone di diffidenza e mistero attorno al suo ruolo e funzioni, sui suoi ambiti di intervento, nonché rispetto alle credenze e aspettative comuni che lo riguardano. Da qui diviene lecito porsi un interrogativo: Chi è lo psicologo e cosa fa?Lo psicologo è una professionista che, grazie alla sua formazione e alle sue esperienze personali, mette a disposizione se stesso e le sue competenze per l’altro. Egli accompagna l’individuo,  attraverso un percorso di scoperta guidata, in particolari momenti critici della vita, aiutandolo, attraverso il dialogo e l’autosservazione, ad esprimere  pensieri, desideri e fantasie, fino ad allora indicibili o inelaborate, ascoltare le proprie emozioni e, con consapevolezza, trovare le risorse positive presenti in ognuno. Come sottolineato in precedenza, la vita è densa di stress, di difficoltà familiari, lavorative, sociali e può capitare ad ognuno di aver bisogno, non di pillole di felicità, ma di dedicarsi uno spazio di ascolto attento ma non giudicante , in cui si possa prendere coscienza di se stesso.
I motivi per i quali si può richiedere una consulenza ad uno psicologo possono essere diversi: situazioni di lutto, periodi di transizione (menopausa, adolescenza, terza età), genitori che hanno bisogno di un supporto nei difficili compiti educativi: situazioni, queste, che rientrano nella normalità di ognuno di noi.
Ci sono poi anche sintomi un po’ più importanti che si presentano senza una causa apparente come ansia, attacchi di panico, episodi depressivi che possono anche aumentare di frequenza e di intensità con il tempo influenzando la sfera lavorativa, sociale e affettiva del singolo. Anche se, nella mia esperienza clinica, vedo che sempre più spesso le persone portano disagi inerenti la sfera relazionale, piuttosto che sintomi specifici. Indice, questo, che finalmente si inizia a dare la giusta importanza a difficoltà che, se trascurate, a lungo andare possono divenire addirittura invalidanti. È importante riconoscere ed entrare in contatto con il proprio disagio,  ricercando aiuto in chi, disponendo di se stesso, sostiene chi soffre e lo aiuta a dare ordine al disordine, per poter migliorare così la propria vita. La prima richiesta di aiuto e di ascolto grava spesso su figure come quella del medico di famiglia, uno dei pochi punti di riferimento stabili in un mondo che si muove sempre più velocemente. Ma nella richiesta non è sempre verbalizzato il disagio; è quindi solo dalla profonda conoscenza che il medico ha dei propri pazienti, spesso legata ad una presa in carico di molti anni, che può crearsi una via privilegiata per comprendere le necessità di natura psicologica, legate ad una sofferenza interiore o ad una sintomatologia che richiedono un intervento in più, o alternativo, a quello farmacologico, come sono gli interventi psicologici e psicoterapeutici. Chiedere aiuto, insomma, "non è peccato", e parlare il più possibile di queste tematiche è la nostra, dovuta, parte di prevenzione.

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