mercoledì 4 gennaio 2012

NARCI_SISMA la follia di un terapeuta alle prime armi







Questo elaborato nasce dall’emozione che ho provato accostandomi all’argomento “narcisismo”. Oltre l’inevitabile riconoscere i tratti caratteriali che certo mi appartengono, e che di volta in volta vengono fuori in modo più o meno prepotente, il collegamento (e la conseguente vergogna che immediatamente si è incuneata tra me e quello che avevo appena scoperto di me) è stato fatto tra gratificazione/immagine narcisistica e pratica clinica. Perché, in pratica, mi sono senza apparenti dubbi, inerpicata sulla strada del mestiere di psicoterapeuta? Ricordo perfettamente quelli che nel mio corso di laurea in psicologia, affermavano di essersi iscritti con l’intento di “aiutare l’altro”; altrettanto bene ricordo la sensazione di sdegno, misto a disgusto che quell’affermazione, a mio parere totalmente ipocrita, suscitava a me, che invece asserivo di averlo fatto solo per comprendere meglio le mie difficoltà e i miei vissuti. Ma oggi, solo oggi, posso ammettere (almeno per iscritto, credo che la verbalizzazione di questo concetto mi comporti ancora un certo rossore) quanto abbia giocato la fantasia di essere di fronte al paziente come “colui che lo salverà”, avere il potere di farlo e il riconoscimento dello stesso. Qualche settimana fa ho incontrato una paziente che aveva terminato (secondo i suoi bisogni) la sua terapia diverso tempo fa: tra grandi sorrisi ed abbracci, lei si è profusa in ringraziamenti e frasi shock del tipo “lei mi ha cambiato la vita!”. Ero al supermercato quando è avvenuto l’incontro e, appena la signora si è allontanata, ho potuto fare un sommario controllo del mio stato post-gratificazione narcisistica: mi ero già resa conto di non essere stata in grado di rispondere in modo caldo al suo abbraccio, non perché non ci fosse un reale desiderio di contatto (o forse proprio per quello), ma perché ero totalmente calata nel ruolo. IO, eroe salvifico!. Terapeuta magico! Etc. etc.
Non è certo la prima volta che incorro in queste fantasie grandiose e fortunatamente, dopo il terrore iniziale e la vergogna scaturiti dai primi incontri con il mio narcisismo da terapeuta, oggi sono in grado di elaborare di volta in volta, in modo più o meno soddisfacente, quello che mi succede. Ancora lontana dal vivere questa mia condizione con totale serenità e ancora più lontana dal non viverla proprio, è comunque un primo passo!
È dunque un Narci-Sisma che mi scuote e mi destabilizza quello che, di tanto in tanto, mi trovo a vivere io, futuro terapeuta alle prime armi, nella relazione terapeutica.
Secondo Lowen lo scopo della terapia è la scoperta di sé e ciò implica tre fasi. La prima è costituita dalla consapevolezza di sé che passa per il sentire ogni parte del proprio corpo e i sentimenti che emergono quando  si sente veramente. Il secondo passo è l’espressione di sé, perché i sentimenti non espressi vengono repressi e così il contatto con se stessi si perde. Lowen parla, ad esempio, della rabbia omicida temuta da molte persone e quindi repressa come di una bomba inesplosa che si può far esplodere nel luogo sicuro costituito dalla terapia, con conseguente gestione razionale di essa, una volta espressa. Il terzo passo è invece una nuova padronanza di sé che non passa per la repressione timorosa di sentimenti sentiti come ingestibili e dolorosi, ma per il contatto con se stesso e l’espressione di sé nel proprio interesse. Questo è il vero dominio di sé. Non c’è paura né vergogna di essere quello che si è, ci si accetta e ci si sente liberi di essere,  per questo ci si sente in grado di gestire qualsiasi emozione e situazione. Ma questo paradiso è il risultato di un lungo lavoro che porta anche attraverso l’inferno del sentire tutto il dolore e la paura che in passato non ci si sentiva forti abbastanza per sentire e gestire. Ecco perché il terapeuta deve avere consapevolezza del proprio lato narcisistico, e, senza reprimerlo a causa della vergogna, elaborarlo, all’interno della relazione con il paziente , nell’ottica di un costruttivo controtransfert.
Questa dunque, non sarà una disamina dell’eziologia e del comportamento del “carattere narcisista”, ma solo una carrellata nella storia dei miei tratti narcisistici e di come essi si incuneano nei primi passi della mia pratica clinica.


Transfert e controtransfert (voce fuoricampo)
Il controtransfert va distinto dal transfert del terapeuta che è dato dal movimento inconscio e spontaneo del terapeuta verso il cliente. Per controtransfert attualmente si intende l'insieme delle emozioni (che non provengono necessariamente tutte dal passato) che il terapeuta prova nei confronti del paziente.
In ogni terapeuta sono presenti aspetti negativi (tra cui costellazioni narcisistiche) che influiscono inconsciamente sul campo terapeutico. Anche nel migliore dei casi questo è inevitabile ed è necessario accettarne la presenza anche se tale idea tocca (ancora una volta) la nostra parte narcisistica che non ama accettarla e che tende a scaricare i problemi solo sui pazienti. Non è realistico credere di poter eliminare del tutto questa parte negativa , ma, essendone consapevoli, si può comunque constatarne gli effetti ed eventualmente correggerli. Questo contributo negativo può modificarsi nel corso della terapia e molto dipende dalle circostanze e dalle dinamiche. C'é molta fluttuazione e naturalmente ci sono molti modi in cui la parte negativa del terapeuta può essere stimolata dalla parte negativa del paziente e viceversa.
                                   

La gratificazione è vita
Il narcisista è spettatore della realtà: purtroppo o per fortuna immediatamente dopo la mia laurea in psicologia sono stata letteralmente “buttata”, durante il mio tirocinio post-lauream, nella conduzione di colloqui clinici all’interno di una struttura pubblica. Ricordo molto bene la paura di sbagliare che mi accompagnava (e che in modo molto diverso mi accompagna tuttora) in quei miei primissimi periodi. Mi sentivo inadeguata e al tempo stesso avvertivo la necessità di promuovere un’immagine di me che potesse comunicare sicurezza e  competenza. Quasi “mi mascheravo” da terapeuta, vestendomi in un certo modo e tentando di controllare ogni mia emozione ed esternazione. Anche il tono della mia voce non era autentico, alla continua ricerca, com’ero, di essere non più una persona ma l’incarnazione di “un ruolo”. In quel momento del mio percorso, in effetti, non avevo una mia identità (o non credevo che il mio vero sé potesse essere adeguato alle esigenze e, di conseguenza, accettato) e quindi, in preda ai miei tratti e bisogni narcisisti, mi identificavo nel ruolo. Incredibilmente i miei colloqui di allora risultavano quasi tutti piuttosto gratificanti per me e per i pazienti, non rendendomi conto che stavo mettendo in atto una empasse mutualmente gratificante, nella quale io recitavo la mia grandiosità e i miei pazienti me la rispecchiavano puntualmente. Anche le mie supervisioni di quei tempi, che ora guardo con occhi per lo meno scettici, rinforzavano queste mie convinzioni, gratificandomi ulteriormente, senza invece portarmi sulla strada di un’elaborazione emotiva dalla quale, ovviamente, mi tenevo prudentemente alla larga. Ero davvero convinta (e posso permettermi di parlare solo di convinzioni perché, credo di essere una sorta di “portatrice sana di tratti narcisistici”) che più fossi riuscita a tenere sigillato il mio universo emotivo, meglio avrei “funzionato” nella relazione (o sarebbe meglio dire pseudo-relazione) con il paziente. In quello che si potrebbe definire “narcisismo etico”, portavo avanti una mission identificandomi con un ruolo e quindi con un ideale, senza consapevolezza alcuna della “discontinuità della coscienza” che mi caratterizzava perché totalmente identificata con il mio sé ideale.
Questi elementi, in effetti, non saltano fuori dal nulla nella mia storia; il mio tratto narcisistico affonda le sue radici nelle numerose aspettative (riguardanti il falso sé) alle quali sono stata sottoposta durante la mia infanzia, nel rapporto con mio padre e con una famiglia/clan con un investimento narcisistico piuttosto importante. Ovviamente il soddisfare quelle aspettative era propedeutico, almeno nel mio vissuto, alla possibilità di essere accettata.
Ed è a quelle stesse aspettative che, da adulta, rispondevo in quei miei primi colloqui: essere brava, ottenere riconoscimento, avere il “potere”… per raggiungere questi distorti obiettivi non empatizzavo con il paziente, piuttosto tentavo di  “sedurlo”.


Dolcetti in terapia: scenari narcisistici
Tento qui di individuare alcuni “scenari”, narcisisticamente caratterizzati, che il terapeuta può scoprirsi a sperimentare; alcuni li ho sperimentati io stessa, altri li ho fantasticati a partire dal mio percorso di formazione.
 Scenario di seduzione
E' una seduzione che si esplicita nel bisogno del terapeuta di creare, con alcuni pazienti, un'atmosfera di eccitazione maggiore di quanto non sia adeguato o necessario nella terapia. Quando questa è forzata potrebbe essere proprio a causa dei bisogni nascosti del terapeuta. In questo modo il terapeuta si sente potente e amato e sente di aver valore nel mondo.
 Scenario dell’ essere premiato
Quando vi è uno scopo conscio o inconscio di essere premiato dal paziente, per esempio per le brillanti intuizioni, per la bravura, per la dedizione, ecc.
 Scenario di attacco
Si manifesta quando il terapeuta ha un bisogno sadico nascosto (e sfortunatamente la terapia è un campo eccellente per realizzare questo scopo). Si può chiamare confronto, provocazione, ecc. E' facile attaccare i pazienti nella situazione terapeutica.


 Scenario di salvataggio
Il terapeuta ha bisogno di avere un'immagine di sé come di un grande salvatore, "un cavaliere sul cavallo bianco", ecc.
 Scenario del "riempi il mio vuoto"
Si usa la terapia per riempire il proprio vuoto comunicando indirettamente al paziente che "dovrebbe venire con più emozioni, con maggiore eccitazione". Ciò accade quando il terapeuta ha bisogno di questo per nutrirsi, come fosse un “vampiro” energetico.
 Scenario del guru.
E' il bisogno narcisistico del terapeuta di essere visto come un maestro.

Questi sono solo alcuni tipi di bisogni narcisistici del terapeuta in terapia. Naturalmente non è realistico pensare di potersi liberare di tutti i bisogni narcisistici. L'idea non è di diventare perfetti (per carità!), ma di arrivare a conoscere molto bene questi bisogni per poter scoprire da quali situazioni del passato provengono e in che misura sono presenti allo stato attuale e per poterli eliminare dalla terapia o almeno fare in modo che invadano il meno possibile il lavoro terapeutico non lasciandoli totalmente fuori dalla propria consapevolezza.

Un terapeuta a “tenuta stagna”?
Prima della seduta (infatti il controtransfert inizia prima della seduta), è necessario osservare se stessi per notare ciò che accade, ciò che si sta provando. Diverse volte ho sperimentato, ad esempio, sensazioni di agitazione o di fastidio, o, al contrario di piacere, all’idea di accogliere un paziente. Se all’inizio mi colpevolizzavo per questo, credendo di dover essere “assolutamente imparziale” e, mi viene da dire, impersonale o addirittura a-personale, oggi sento che le emozioni che sperimento all’idea di un particolare paziente siano molto utili ai fini della terapia stessa, nonché del mio percorso personale. Durante la seduta è necessario, poi, cercare di porre uguale attenzione ai vissuti e alle espressioni del paziente, e ai propri, a tutti i livelli della consapevolezza (sensazioni, pensieri, immagini, sentimenti, impulsi, ecc.). Pur senza agire i propri impulsi (a meno che non lo si ritenga terapeuticamente utile), sarebbe di grande importanza notarli e non bloccarli. Ritengo sia molto importante, infatti, quando entro di sé vi è un qualche tipo di reazione, permettere che questo accada. Come ho detto, all’inizio cercavo di evitare questa esperienza e non me la permettevo. Oggi invece, credo sia  fondamentale lasciar sviluppare tali reazioni senza né bloccarle né agirle, proprio nell’ottica di darsi la possibilità di contattare il proprio vero sé, evitando di essere, appunto, un “terapeuta a tenuta stagna”. Il passo successivo è di tipo più cognitivo. Si cerca di ordinare interiormente la reazione per capire in che misura questa provenga dal paziente o dal terapeuta. Anche se non si può sempre fare questo lavoro, poichè magari alle volte non si è in grado di comprendere con chiarezza ciò che sta accadendo, si deve comunque accettare l'esperienza e si possono formulare delle ipotesi.


Bugie, confessioni e conclusioni
Chi una volta ha proclamato la violenza con i propri metodi, è costretto a scegliere la menzogna come proprio principio. Un uomo semplice e coraggioso deve compiere solo un passo, non partecipare alla menzogna
(A. Solgenitsyn).

Ammettendo che le “bugie” sono una versione distorta della realtà esterna all’individuo, ma aderente a una realtà più intima e indicibile, diventa possibile utilizzarle per conoscere l’individuo che ne fa uso. Il contenuto di una distorsione può non è certo completamene casuale. Come nei sogni, il contenuto manifesto ha attinenza con il contenuto latente. Torna utile a questo scopo, dunque, cercare di decodificare la maschera che, come nel sogno, la parola ha dovuto indossare per ingannare la dogana della coscienza e poter uscire allo scoperto. Paradossalmente, la menzogna di sè potrebbe essere un tentativo di ricerca della realtà. In seduta, prima di procedere in questa operazione, il terapeuta deve quindi istituire in sé un regime di legalità.
Penso che in ciascuno, anche nel migliore degli psicoterapeuti, la violenza del falso sé potrebbe essere il racconto di una condizione interna di disagio, anche momentaneo. Attraverso la violenza che la bugia rappresenta, ciascuno tenta di raccontare ciò che vive dentro di sé in quel momento: un regime violento e tirannico, forse determinato dal proprio narcisismo onnipotente, che sequestra la spontaneità e la creatività, costringendo l’individuo, in quel momento, a essere distante dal piacere del contatto con la realtà. 
In seduta, questa condizione narcisistica, può opporsi alle capacità di accoglienza, ascolto e trasformazione di cui il terapeuta deve poter disporre. All’inizio il lavoro terapeutico si muove all’interno di una relazione che può avere caratteristiche super-egoiche e narcisistiche, che confluiscono nel transfert che il cliente produce sul terapeuta. Un piacere, per esempio, legato al sentirsi parte di una coppia speciale e potente nelle sue capacità intellettuali. Sarà uno dei compiti del controtransfert del terapeuta esplorare i vissuti connessi a questa condizione iniziale.

















BIBLIOGRAFIA
Lowen Alexander, “Il narcisismo: l’identità rinnegata”, Feltrinelli Editore, 1985.
Moselli Patrizia , “Il guaritore ferito: la vulnerabilità del terapeuta”,  Melusina Editrice, Roma, 1999.
S.I.A.B. , lezioni.       

Il carattere rigido: orgoglio e pregiudizio





“Non aspettare di essere morto per lasciarti andare,
lasciati andare ora.” A. Lowen



Premessa

Nello scegliere l’argomento da trattare in questo elaborato non ho avuto dubbi: è questa una tipologia di carattere che sento molto vicina a me, pur riconoscendomi le doverose differenzazioni e ricordandomi, sempre, che non esistono nella realtà caratteri puri. Per questo motivo intendo, nel mettere nero su bianco, fermare anche dentro di me dinamiche e caratteristiche del carattere rigido, in modo da poterle ulteriormente “vedere”, per poi farne, magari, buon uso.
“La struttura del carattere definisce il modo in cui un individuo tratta il proprio bisogno di amare, la sua ricerca di intimità e il suo desiderio di piacere”. (Alexander Lowen) lungo un asse che raggiunge la salute emotiva, caratterizzata dalla spontaneità nel protendersi verso l'esterno per ricercare il contatto e l'amore; il disturbo schizoide si trova all'inizio, con un ritiro dall'intimità, sentita come eccessivamente minacciosa. Le altre tipologie caratteriali sono distribuite ordinatamente da sinistra verso destra, lungo un continuum, in funzione di quanto configgono con la salute psichica, intesa come capacità di intimità e contatto.
Caratteristiche e diritti negati:
  1. Il carattere schizoide evita il contatto. A lui è stato negato il diritto di esistere.
  2. Il carattere orale riesce a stabilire una intimità unicamente per soddisfare il suo bisogno di (ricevere e dare) calore e aiuto. Gli è stato negato il diritto ad essere nutrito.
  3. Il carattere psicopatico riesce ad entrare in contatto solo con chi ha bisogno di lui, in modo da poter controllare la relazione. Ha sperimentato la negazione del diritto di essere sostenuto nella propria identità.
  4. Il carattere masochista stabilisce un rapporto con un atteggiamento di sottomissione. La paura tipica del masochista nasce da una convinzione: che l'espressione di un sentimento negativo, o il riconoscimento della propria libertà, provochi la rottura del rapporto e la perdita del contatto intimo. La negazione sofferta riguarda il diritto di essere libero.
  5. Il carattere rigido rimane in una dimensione emotiva ingabbiata. In questo modo l'intimità ed il coinvolgimento emotivo nelle relazioni è sempre parziale. L'ultimo piano della sua casa emotiva rimane inaccessibile. L'eziologia della problematica si trova nel complesso edipico, nell'angoscia di castrazione, nel senso di colpa e nell'odio represso.
Ho voluto riepilogare anche i blocchi degli altri caratteri per evidenziare che nel rigido queste fasi sono state superate in modo piuttosto adeguato. La problematica del rigido, dunque, si inserisce in una cornice più matura: riguarda infatti il suo essere libero di amare insieme sessualmente e con il cuore. Egli sente, a causa del conflitto edipico, di poter aprire il cuore solo rifiutando la sessualità e, al contrario, di poter essere un essere sessuale solo tenendo chiuso il cuore. Questo accade perché durante la fase edipica, quando il bambino, totalmente aperto, si muove nella direzione del genitore del sesso opposto, ne incontra uno incapace di accogliere questa apertura, per svariati motivi, causando così un blocco ed instillando nel bambino l’idea che:
1)     è sbagliato (l’idea soggiacente è quella del peccato), che si tramuta facilmente in
2)     “sei” sbagliato, dunque, non vai bene, non sei abbastanza
Ecco perché il rigido entra in competizione con il mondo: una sfida, la sua, legata alla seduzione (fare le cose e farle molto bene in modo da ottenere amore), per dimostrare di valere. È questa una condizione reale e non slegata dalla realtà, perché il rigido è il carattere più energeticamente carico ed è quindi assolutamente in grado di portare a termine ogni compito nel migliore dei modi.

1. Come appare un essere in gabbia
Le persone rigide tendono ad avere un carattere fermo, inflessibile e orgoglioso. Il capo è tenuto alto e la colonna vertebrale in una costante situazione di erezione, tipica della posizione del militare sull'attenti. All'apparenza si tratta di caratteristiche con connotazioni positive, se l'orgoglio non rappresentasse una difesa e la "durezza" non fosse rigida, inflessibile. Nella realtà il carattere rigido ha paura di lasciarsi andare perché associa il cedimento alla sottomissione ed al crollo emotivo. Esiste una tendenza masochista in secondo piano dalla quale il soggetto si difende irrigidendosi. Per questo motivo è portato a frenare i sentimenti emergenti, a tenere indietro ogni naturale impulso ad aprirsi e a protendersi verso l'ambiente. Nelle relazioni è una persona estremamente controllata che da l'impressione di non abbandonarsi mai completamente, di non fidarsi mai abbastanza dell'altro. Per lui lasciarsi andare evoca la paura di apparire stupido, quindi si controlla. Un'altra sua paura riguarda il mollare, cedere, sottomettersi: vive queste variabili come pericolose, una reale minaccia contro la sua libertà. La schiena "dritta" e rigida, associata alla permanente capacità di frenarsi è dovuta alla dominante posizione dell'io, che controlla incessantemente il comportamento. Il carattere rigido presenta un buon contatto con la realtà, ma questo
apparente grounding  è utilizzato come difesa contro il piacere di abbandonarsi all'altro. Questo è il conflitto di fondo di questo tratto caratteriale. Le persone con tale sistema difensivo sono comunque orientate verso l'esterno, ambiziose, competitive e dotate di buona aggressività, mentre la passività è sentita come vulnerabilità. L'ostinazione che deriva dall'orgoglio appartiene al carattere rigido, mentre non è sua la malignità, tipica dello psicopatico.

2. I sottotipi
In bioenergetica il carattere rigido si riferisce a diversi sottotipi caratteriali.
  • Il maschio fallico e narcisista, che attribuisce un'importanza assoluta alla potenza erettiva (Il Casanova, ricordato come avventuriero e come colui che fece del proprio nome il sinonimo di seduttore). Il copione della seduzione viene messo in atto in modo quasi compulsivo, ed in questo si incunea l’idea della “vendetta”. Seduce, per poi far rivivere all’altro l’abbandono che sente di aver vissuto.

  • Il carattere femminile  isterico, che usa il sesso come difesa contro la sua sessualità. Questa dimensione è legata al rapporto con il padre che fatica ad accettare la sessualità della figlia, pur avendola inizialmente incoraggiata. Questo tipo di donna sente il richiamo sessuale ma è incapace di vivere la sua sessualità in modo pieno e soddisfacente.

  • La donna mascolina-aggressiva e l’uomo passivo-femminile sono tra loro equivalenti. Si muovono sulla dimensione della seduzione, ma sui binari del “fare” (seduco facendo bene le cose). In questi casi è stato impossibile identificarsi con la sessualità del genitore dello stesso sesso, per un probabile rifiuto (nel caso di un bambino, ad esempio, una madre che non voleva un figlio uguale al padre o, per una bambina, una madre iperfemminile che tiene lontana la figlia dal padre). Nel corpo la mascolina-aggressiva, a differenza dell’isterica che è più “orale”, tenera e disponibile, appare una maggiore durezza, che maschera la sua sessualità. Nell’uomo vale lo stesso discorso, ma in modo speculare.

2.1 La dimensione ossessiva nel carattere rigido
L’ansia del rigido è molto organizzata: un’organizzazione interna che tiene a bada i sentimenti. Questa ipersrtutturazione permette di “fare” le cosa, ma non di “sentirle”. Ecco perché questo carattere può sfociare nell’ossessivo. Il rigido, dunque, presenta anche una tendenza ossessiva; in questo caso questo carattere, rigido come l'acciaio che,  a differenza della rigidità schizoide, non presenta alcuna apparente fragilità (la rigidità schizoide, paragonabile al ghiaccio, potrebbe andare in frantumi) è caratterizzato da un complesso di risposte rigide della personalità, comportamenti e sentimenti che si manifestano in: tendenza a conformarsi a procedure, abitudini o regole in modo eccessivo e non flessibile, occorrenza di pensieri o comportamenti ripetitivi, costante perfezionismo. La dimensione ossessiva rende manifesta un senso di ansia quando le procedure vengono alterate o gli standard tendenti al perfezionismo non sono soddisfatti. Vi è spesso un atteggiamento generale di inflessibilità di giudizio e talvolta anche di moralismo, desiderio di ordine e fedeltà alla routine, inquietudine eccessiva in situazioni che il soggetto percepisce come non prevedibili. Un tratto caratteristico osservabile è il perfezionismo. Queste persone mostrano a volte notevoli difficoltà a distinguere a prima vista i livelli diversi di importanza delle questioni, cioè a limitare la preoccupazione per i dettagli rispetto agli aspetti essenziali. Hanno difficoltà a delegare compiti ad altri temendo che non siano svolti con le procedure desiderate. Gli standard elevati che essi chiedono agli altri in tutti gli ambiti possono creare significativi problemi alla vita di relazione.

3. Eziologia e correlati psicologici
Come abbiamo ripetuto, nelle fasi precedenti (schizoide - orale - psicopatica - masochista), questo bambino non ha subito forti traumi e per questo motivo la sua posizione difensiva è meno grave rispetto agli altri e la quantità di energia a sua disposizione è enorme. Si tratta di un bambino che supera i tre anni di vita avendo ricevuto accudimento, amore, affetto, sostegno, riconoscimento, libertà di muoversi e giocare. Il trauma rilevante riguarda la frustrazione sofferta a livello genitale, che origina dalla proibizione della masturbazione e dal vissuto edipico (rapporto con il genitore di sesso opposto nella fase edipica: 3 - 6 anni). Ha patito il rifiuto della sua naturale ricerca di piacere erotico e sessuale e si è sentito tradito dal suo spontaneo protendersi verso l'amore. Quando l'amore non  è corrisposto colui che ama si sente ferito, un bambino di tre anni ama in modo assoluto, per questo motivo il suo dolore è straziante. Occorre ricordare che per il bambino l'amore ed il sesso sono intimamente connessi, la scissione avviene successivamente, per effetto del maldestro intervento degli adulti e delle loro sofisticazioni sessuali, sconosciute all'innocenza del bambino. Nella mente di un fanciullo piacere erotico, sessualità e amore sono sinonimi. Il bambino per avere l'energia di andare dal genitore del sesso opposto deve essere sostenuto dal genitore del suo stesso sesso, quando questo non avviene la carica energetica si riduce inesorabilmente nel piccolo. Il suo vero trauma affonda le radici nella sensazione che qualcosa è sbagliato in lui e rifiuta i suoi stimoli sessuali, perché non sono stati approvati dai genitori. L'adattamento del piccolo a questa condizione frustrante lo porterà ad agire nella vita con cuore, ma in modo contenuto e sempre sotto l'incessante controllo dell'io. La terapia dovrebbe aiutarlo ad abbandonare proprio questo controllo, lasciando libero il suo cuore di accedere anche agli ultimi piani della sua capacità di amare. Le difficoltà emergono perché da bambino la sua manifestazione aperta di amore come desiderio di intimità fisica e piacere erotico aveva incontrato il rifiuto dei genitori; questo trauma lo limita nell'espressività da adulto; è presente la sua paura di essere ferito di nuovo, ecco che per raggiungere il suo scopo agisce con prudenza e sempre in modo indiretto. Il suo orgoglio è collegato al sentimento d'amore, perché il rifiuto al suo amore sessuale ha rappresentato un'offesa al suo orgoglio. Il rigido si tira fuori dalle emozioni perché il suo cuore è spezzato.
DIRITTO NEGATO: di esprimere la propria sessualità,
IDEALE DELL’IO: io sono forte e non cederò mai, davanti a nessuno,
ILLUSIONI DELL’IO: se non mi lascerò andare e controllerò incessantemente la situazione, tu non potrai ferirmi e non soffrirò un dolore straziante. Otterrò l'amore senza amare. Sono amorevole per le mie buone azioni e posso essere sessuale anche senza amare


4. Caratteristiche fisiche
Il livello energetico è molto alto, ben sviluppato, il corpo del carattere rigido è dunque bello, proporzionato, armonioso, integrato e connesso. Gli occhi sono brillanti, ma osservandoli bene possono presentare un velo di tristezza; il colorito è buono, il capo è orgogliosamente eretto, ed è teso nella regione della fronte e del setto nasale, i suoi gesti ed i suoi movimenti sono vivaci. Un corpo eretto e dritto con un considerevole orgoglio, dunque. Tuttavia, la postura eretta è mantenuta tramite una rigidità dei muscoli del dorso che denota un atteggiamento trattenuto. Questo trattenersi del carattere rigido sorge dalla precoce esperienza di umiliazione da parte del genitore di sesso opposto all’epoca del periodo edipico.
Naturalmente vi sono vari gradi di rigidità nel tipo rigido. Essa "sporca" la coordinazione motoria nella sua spontaneità e la grazia nel muoversi (appare come un robot), gli occhi si opacizzano quando la rigidità è grave. La bocca è spesso ambivalente con l'espressione degli occhi, come a dire: "voglio, ma non ti darò mai la soddisfazione di chiedere". La muscolatura del tronco è così contratta che sembra vivere dentro un "tubo". Tale rigidità è probabilmente legata alla paura di regredire ad un livello masochista. Il collo è forte e muscoloso, presenta una contrazione a livello della mascella, della gola e, soprattutto del bacino.

4.1 Quando il bacino parla
Il bacino, serrato, è in cronica antiversione (glutei indietro), come per tenere i genitali lontani dal cuore. Questa postura comunica “non mi avrai mai più, non avrai più il mio amore, mi hai fatto soffrire troppo e non voglio più sentire tanto dolore”. Per il rigido innamorarsi significa tornare nella dipendenza che lo ha distrutto, il suo oggetto genitoriale rifiutante interno gli impone di essere freddo, insensibile. Non blocca il protendersi ma il bisogno di amare e di essere amato, se fa qualche gesto affettuoso lo fa meccanicamente. I suoi comportamenti intimi teneri (baci, abbracci, carezze, etc.) sono rarefatti e preferisce astenersi. Se si identifica con il genitore rifiutante non apre mai il suo cuore per paura di innamorarsi e toccare così la sua ferita profonda. Tuttavia, ha un enorme bisogno di essere amato e lo dimostra col sesso, dove la sua ansia di prestazione spesso lo porta all'eiaculazione precoce. Dopo l'atto sessuale vuole essere rassicurato: è sessuale per fare bella figura, scinde sesso e amore. Se soddisfatto sessualmente non ama, se ama non riesce ad essere sessuale, frequentemente vede il suo partner d'amore come il genitore del sesso opposto. Quando il rigido si innamora, ed accade raramente, può sviluppare una dipendenza dall’oggetto d’amore e per questo, travolto dal dolore, può regredire a una posizione masochistica: come in una profezia che si auto avvera, nella relazione d’amore il rigido rischia di fasi molto male. A livello sessuale, quando non c'è soddisfazione emerge la compulsione (tanti rapporti in una unità di tempo). Nei rapporti sessuali è infatti interessato alla potenza e alla frequenza, della quale ama vantarsi con gli amici. Invece ha molta vergogna del giudizio degli altri e di fare brutta figura. Si illude di poter comprare l'amore col successo, purtroppo riesce ad ottenere con questa modalità solo un poco di attenzione. Il rigido è uno specialista a fare innamorare gli altri attraverso il suo successo, lavora molto, è molto autonomo, non è dipendente, porta a termine gli impegni con successo e possiede una buona autostima. E' un tipo volitivo, cerca sempre un nuovo obiettivo, gli piace sentirsi bravo. E' sensibile ai desideri degli altri ma non si apre, comunque sostiene gli altri e li invita ad aprirsi, cerca di soddisfare i desideri del prossimo. Chi seduce il rigido è il carattere psicopatico, gli gonfia l'io per poi manipolarlo, ma se il rigido scopre la manipolazione si infuria. Non si trova bene con il tipo masochista, il rigido è attivo, mentre il masochista è passivo nella vita. Nella relazione con il carattere orale ognuno presenta le sue paure: il rigido di essere rifiutato, l'orale di essere abbandonato.

5. Il rigido in terapia
La terapia si pone l'obiettivo non di eliminare (impossibile), ma di aprire gradualmente l'armatura somato-caratteriale per poter contattare i sentimenti chiusi da lungo tempo. Sarà importante per il rigido ricontattare nel setting terapeutico quegli occhi che a suo tempo lo hanno rifiutato straziandolo e vivere un diverso finale. Un finale dove l'energia che ha incapsulato la difesa del cuore, costruendo la corazza che come un tubo lo serra strettamente, possa finalmente liberarsi ed esprimere tutta la rabbia e tutta l'energia (nel rigido enorme energia) che a suo tempo il bambino che è in lui non aveva avuto proprio in nessun caso l'opportunità di agire. L’energia è ben distribuita: la carica energetica, come si è detto, si è potuta sviluppare bene, ma proprio per questo è più difficile allentare le tensioni. Gli esercizi proposti in terapia devono essere “forti”, altrimenti si corre il rischio che il rigido non li senta neppure. In terapia sarebbe opportuno fluttuare tra le dimensioni del “fare” e del “non fare”: se infatti un paziente dal carattere rigido sente che il terapeuta ripone delle aspettative nei sui confronti, perde il gusto di lavorare “per sé”. È questa la causa della possibile collusione con il terapeuta, in cui può avvenire la perdita di senso della libertà interiore. Il pericolo di far nascere il risentimento in persone con queste caratteristiche,  sempre dietro l’angolo. Il rigido deve imparare a mollare (il fare) e a “stare”, per creare lo spazio interno del cuore e della sessualità; uno spazio dove può pulsare di nuovo, laddove la pulsazione è stata imprigionata. Ottime a questo scopo le pulsazioni: le pulsazioni hanno il potere di ristorarlo.
5.1 La paura di cadere: un esercizio
I diversi caratteri, ognuno a suo modo, sono legati alla paura di cadere: per il carattere rigido la caduta è perdita dell’orgoglio. Cadrebbe in avanti sbattendo la faccia e il suo io potrebbe frantumarsi, l’ansia è molta in quanto questa personalità è fortemente legata a sentimenti di indipendenza e libertà.
Per ogni persona la caduta rappresenta la resa o la rinuncia ai propri schemi di controllo e dunque alla posizione difensiva.
Siccome questa posizione è stata sviluppata come meccanismo di difesa e al fine di assicurare un certo contatto , un certo grado di indipendenza e di libertà, nell’abbandonarla si evoca tutta l’ansia che in origine ne aveva imposto lo sviluppo.
Al paziente si può chiedere di correre il rischio perché la sua situazione di adulto è diversa da quella dell’infanzia.
La funzione del terapeuta è di aiutare il paziente a superare l’ansia dello stato di transizione, scoprirà così che il terreno sotto i piedi è solido e che è in grado di reggersi da solo.
Per raggiungere questo scopo è possibile utilizzare l’esercizio della caduta.
L’esercizio proposto  consiste nel mettere davanti al paziente un materasso in modo che se il paziente cade non si farà male, si chiede di spostare tutto il peso su una gamba e di flettere completamente il ginocchio caricato, l’altro piede tocca leggermente il suolo e serve solo per l’equilibrio.
Il soggetto deve stare in questa posizione finché cade, ma non deve lasciarsi cadere.
Lasciarsi andare coscientemente non equivale a cadere, perché l’individuo controlla la discesa. Per essere efficace la caduta deve avere la qualità involontaria. Se la mente è attenta a mantenere la posizione allora la caduta rappresenterà la liberazione del corpo dal controllo cosciente; la maggior parte delle persone ha paura di perdere il controllo del proprio corpo perciò questo fatto è già di per sé tale da provocare ansia.
Attraverso questo esercizio sarà possibile farsi un’ idea dell’atteggiamento del paziente e il modo in cui si tiene sarà il modo in cui andrà nel mondo, permetterà una lettura del corpo e rileverà l’impasse in cui è imbrigliato. Questo esercizio infatti mette a nudo le fissazioni che tengono sospesa una persona e creano l’ansia di cadere.
Questo esercizio specifico aiuta anche a fornire queste esperienze, stando in piedi con tutto il peso su una gamba si esercita sui muscoli una pressione che è sufficiente a stancarli. Man mano la contrazione favorirà la vibrazione che permetterà una maggiore sensibilità nelle gambe.
Nel contempo la respirazione diventa più profonda. Il corpo può essere percorso da tremiti  ma il  soggetto non cade e si accorge con stupore che la gamba continua a reggerlo anche se ha allentato il controllo cosciente sul corpo.
La gamba cede ed avviene la caduta, è un grande sollievo scoprire di non essere fatti di acciaio, scoprire che quando non è più in grado di reggersi in piedi il corpo cade.
Si prende coscienza inoltre che la caduta non è la fine, che  non si viene distrutti e che il corpo può rialzarsi.
All’esercizio del cadere si fa eseguire anche quello di alzarsi.








BIBLIOGRAFIA

Alborghetti Stallone Maria: "Bioenergetica per tutti" - Universo Editoriale 2004

Lowen A., Lowen L.: "Espansione e integrazione del corpo in bioenergetica. Manuale di esercizi pratici" Roma, Astrolabio, 1977
Lowen A.: "Amore e orgasmo" Milano, Feltrinelli, 1977
Lowen A.: "Il linguaggio del corpo" Milano, Feltrinelli, 1978
Lowen A.: "Bioenergetica" Milano, Feltrinelli, 1983
Lowen A.: "Il Piacere" Roma, Astrolabio, 1984
Lowen A.: "Arrendersi al corpo" Roma, Astrolabio, 1994
Lowen A.: "Amore sesso e cuore" Roma, Astrolabio, 1989
















INDICE

PREMESSA
  1. Come appare un essere in gabbia                                              p.3
  2. I sottotipi                                                                                p.4
2.1           La dimensione ossessiva nel carattere rigido                          p.5
  1. Eziologia e correlati psicologici                                                  p.6
  2. Caratteristiche fisiche                                                               p.7
4.1           Quando il bacino parla                                                          p.8
  1. Il rigido in terapia                                                                     p.9
5.1 La paura del cadere: un eserizio                                               p.10
BIBLIOGRAFIA                                                                              p.12