giovedì 21 febbraio 2013

QUANDO I TABLET ERANO D’ARGILLA - piccolo viaggio nel complesso mondo della comunicazione interpersonale

Due persone al ristorante, un uomo ed una donna, interno, sera.
Non si parlano, non si guardano nemmeno ma tengono in mano ognuno il proprio
smartphone: arriva il cameriere, porta il vino, lo versa nei bicchieri, i due protagonisti fanno un brindisi a non si sa cosa, bevono un sorso poi ognuno si rimette a scrivere sul proprio cellulare.
Qui i casi sono due, o si scrivono tra loro, cosa bizzarra visto che sono a 40 centimetri di distanza, o scrivono ad altri, anche questa cosa bizzarra dal momento in cui si ha un altro di fronte, con il quale potersi relazionare. Così passa la loro serata, in silenzio e scrivendo su quel cellulare.
Inutile mettere la testa sotto la sabbia: il modo di comunicare, di relazionarsi è mutato molto in base alle nuove tecnologie che si avvicendano ad un ritmo sempre più sostenuto. Siamo costantemente connessi ad un gran numero di individui e proprio per questo, corriamo il rischio di perderci, di non riuscire a districarci in questa immensa rete fatta di persone lontane e vicine. Tutti i filtri attraverso i quali oggi ci troviamo a comunicare comportano un innalzamento delle nostre difese interpersonali e, di contro, un abbassamento della nostra capacità di metterci davvero emotivamente in gioco e in relazione. Ma nonostante queste radicali trasformazioni, alcuni, fondamentali, assiomi di base della comunicazione, resistono al nuovo millennio.
La voglia di comunicare ed essere capiti è insita in ognuno di noi. E la consapevolezza della buona ricezione di ciò che si vuole comunicare può portare ad alleviare quel senso di solitudine che ognuno porta dentro di sé. Avere la voglia di esprimere qualcosa agli altri, a chi può captarci e capirci è un bisogno del tutto naturale. Attraverso la comunicazione, l'uomo ha potuto mutare le strutture sociali nelle quali si è trovato via via ad operare nel corso dei secoli: partendo dalle tribù e dai piccoli villaggi, attraverso l'elaborazione di sistemi sociali sempre più complessi, ha alimentato un processo continuo, che ha consentito di giungere fino all’attuale globalizzazione. La prima rivoluzione dell'informazione che si è avuta nella storia dell'uomo è stata costituita dal linguaggio, poi è venuta quella della rappresentazione, della scrittura e della lettura, seguite dalla rivoluzione dei mezzi di supporto su cui vengono registrate le informazioni (le tavolette di argilla, le incisioni su pietra, le iscrizioni su papiro e su pergamena, l'introduzione della carta..); dopo secoli si è avuta l'invenzione della stampa e, successivamente, la rivoluzione tecnologica e quella informatica. E' ormai evidente che l’informazione può essere comunicata in tempo reale ed in gran quantità tramite le moderne strategie di comunicazione che hanno notevolmente ampliato le possibilità in questo campo. Inoltre, si ristrutturano le forme stesse della comunicazione che, nella rete delle reti, si realizza o in forma libera e destrutturata nella posta elettronica, od organizzata secondo la tecnica della “navigazione” in un ipertesto multimediale quasi illimitato. Ma cosa resta immutato sia nella tavoletta d’argilla che nel tablet? Procediamo con ordine, dando innanzitutto, una breve definizione, generalizzabile e sempre valida.
La comunicazione è un processo bidirezionale consistente nello scambio di messaggi , attraverso un canale e secondo un codice, tra un’emittente ed uno o più riceventi.
Comunicare bene è importante, anzi fondamentale. Noi comunichiamo sempre. Anche le due persone del nostro esempio iniziale comunicavano, pur restando in silenzio, tra loro, anche se, magari, ne erano inconsapevoli. Comunicare quindi, comunicare bene e in modo efficace, non è solo un atto di saper fare ma anche e soprattutto di saper essere. La comunicazione efficace diventa così paradigma di una buona qualità di vita. Essa richiede come competenze di base sia una buona capacità d’ascolto sia una capacità di relazione. Sembra incredibile ma per aumentare la propria capacità relazionale e di comunicazione interpersonale non serve tanto parlare quanto ascoltare. È proprio da noi stessi, dalla nostra capacità d’ascolto, di entrare empaticamente in relazione con l’altro, che parte tutto. L’empatia è la capacità di immedesimarsi nell’altro, comprendere  la situazione in cui si trova  ciò che prova. Riuscire a provare empatia diviene sempre meno semplice: non abbiamo tempo, siamo troppo presi da noi stessi, dai nostri problemi, siamo sempre di corsa, non abbiamo mai tempo eppure … è il segreto, la chiave che apre tante porte. Essere empatici non vuol dire essere remissivi o accondiscendenti: essere empatici vuol dire capire e decidere cosa dire e fare sulla base della comprensione dell’altro, senza negare noi stessi ed il nostro vissuto. Ma non possiamo capire l’altro se non ci apriamo ad uno spazio di ascolto. Del resto, ci sarà un motivo se la natura ci ha dotato di due orecchie e una sola bocca..
Ma ovviamente, parlando di comunicazione, non ci riferiamo solo a canali verbali o informatici, immaginando il processo comunicativo come fosse un iceberg, la comunicazione verbale si identifica solo con la punta dell’icberg, quella che si mostra in modo più evidente: ben il 90% della comunicazione, infatti, è costituito da elementi non verbali, corporei o che comunque si avvalgono di altri canali, come quello visivo, olfattivo, immaginativo.. non si può non comunicare! È questo il primo assioma della comunicazione, che dovremmo tenere sempre ben presente nel nostro tentativo di divenire dei comunicatori sempre più efficaci!

giovedì 7 febbraio 2013

LA RELAZIONE TASCABILE (la dimensione consumistica dell'amore)

Qualche tempo fa la parola noi aveva un senso diverso e più spessore. Meno sentimentale e molto più pragmatico, il noi di cinquanta anni fa aveva un colore diverso, incarnava una storia, una famiglia ed una discendenza. In seguito, questa parola ha subito molte modificazioni, declinandosi prima in una famiglia nucleare, poi in una coppia che non rinuncia alla possibilità di scegliersi ogni giorno, ma tutti questi ruoli del noi si sviluppavano sempre all’interno di una dimensione relazionale. Al centro c’era un’idea, un valore, non un ego. Con l’epoca dell’affermazione dell’io, della me-society si giunge al formarsi di pseudo relazioni che  vedono due individui rinchiusi ognuno all’interno di se stesso senza la capacità, o forse la disponibilità, a stabilire un vero legame, perdendo il contatto con le proprie emozioni.
Nella nostra società, dove le relazioni sono instabili ed in perenne movimento, la coppia trova il compimento della sua essenza anche in unioni di tipo non familiare; unioni libere, momentanee, sono spesso ormai non solo il  guado da attraversare prima di giungere a legami consolidati, ma anche il mare in cui uomini e donne decidono di navigare per tutta la vita. In un mondo ferocemente individualistico, le relazioni esprimono nel modo più netto l’odierna ambivalenza, tra sogno e incubo, tra libertà appagata, e schiavitù frustrata. Si vuole vivere l’ossimoro dell’esserne dentro e fuori allo stesso tempo; l’amore non è più “consegnarsi in ostaggio a un destino”, accettare l’incognita che sempre l’Altro rappresenta, ma diventa l’arte di alimentare quella che può definita “relazione tascabile”, pronta all’uso, e sulla quale esiste un controllo totale.
L’arte di troncare, di ‘disconnettersi’ (Internet docet) diventa fondamentale; la rescissione immediata, come in ogni contratto che si rispetti, è la base. Ma resta altresì importante potersi connettere, sperare in un telefono che suona sempre, dando così alle relazioni inedite qualità di prossimità virtuale, nelle quali si può stare in contatto pur tenendosi in disparte, e viceversa e rispetto a cui le capacità per coltivare la prossimità non virtuale sono sempre meno esercitate.
Una “relazione tascabile” è dolce e (o perché) di breve durata, e presenta delle regole ben precise, senza il soddisfacimento delle quali si ricasca irrimediabilmente in quello che è il classico, soffocante e vischioso rapporto da cui con tanta veemenza sembriamo fuggire. Innanzitutto questo tipo di relazione non ha nulla a che fare con l’innamoramento: essa deve essere intrapresa con piena coscienza, razionalità e giudizio. La convenienza momentanea è l’unica cosa che conta. E se qualche anno fa qualcuno cantava “chi meno ama è più forte si sa”, anche in questa occasione è il caso di dire che meno investi nella relazione, meno insicuro ti sentirai quando sarai esposto alle fluttuazioni delle tue emozioni future. Sì, perché in questo caso l’indeterminatezza non è data dall’insicurezza che può trasmetterci il partner, ma dalle nostre stesse oscillazioni, che rendono indeterminato il nostro interesse verso una particolare relazione.
I compartimenti stagni tra l’io e il tu, trasformano le persone in uno ‘sciame’ un “aggregato mobile in cui ogni singola unità fa la stessa cosa ma nulla viene fatto in comune”. Quando manca la qualità, si cerca rifugio nella quantità. Quando non c’è niente che duri, è la rapidità del cambiamento che può redimerti.
Nell’ottica della “relazione tascabile” non bisogna mai soprassedere su ciò che non si gradisce del “partner-tascabile”: se noti qualcosa che non avevi contrattato o che non ti interessa è giunto il momento di approdare al prossimo surrogato di rapporto, ma sempre in via del tutto temporanea. In un mondo in cui l’importanza di un evento viene valutata solo in termini numerici e di visibilità (la qualità di un programma televisivo dal numero di spettatori, la profondità di un pensiero dal numero dei “mi piace” racimolati sul noto social network) la frequenza con cui questi argomenti saltano alla ribalta della scena, ci rivela quanto sia importante imparare a sviluppare delle capacità per affrontarli: in questa tipologia di relazione non si stabilisce un legame per seguire un desiderio, quanto piuttosto per togliersi una voglia, proprio come per lo shopping, queste relazioni sono “in vetrina”. In questo mondo, che Zygmunt Bauman definisce magistralmente come “liquido” perché in continuo movimento, le relazioni sono  concepite come degli abiti da indossare per poi svestirli ad ogni cambiamento di moda o fluttuazione di peso. Se prima, infatti, lo smoking con cui ci si era sposati  veniva conservato per ogni tipo di futura “grande occasione”, oggi tutti noi rientriamo prima di ogni altra cosa nella categoria di consumatori, e in quanto tali tendiamo a considerare bene di consumo tutto ciò con cui veniamo in contatto.
Togliersi una voglia, diversamente dall’esaudire un desiderio, è soltanto un atto estemporaneo, che si fa in modo non lasci conseguenze durevoli che potrebbero ostacolare ulteriori, futuri momenti di “estasi gioiosa”. Nel caso delle relazioni, e delle relazioni sessuali in particolare, seguire le voglie anziché i desideri significa lasciare la porta ben aperta ad altre “possibilità pseudo romantiche” che potrebbero rivelarsi magari più soddisfacenti ed appaganti. Il desiderio va curato e coltivato, implica una dedizione prolungata, ma soprattutto comporta l’essere capaci e disponibili a procrastinare il suo soddisfacimento: il sacrificio senza dubbio più aborrito nel nostro mondo fatto di velocità ed accelerazione. In questa società di “soddisfatti o rimborsati” qualunque merce può essere sostituita con altri prodotti che si sperano essere più soddisfacenti. Ma anche se al momento le merci dovessero mantenere le promesse, nessuno si aspetta che esse durino a lungo; dopotutto, automobili, pc o telefoni cellulari in perfetto stato vengono gettati via senza troppo rammarico nel momento in cui versioni nuove e aggiornate arrivano nei negozi. Perché mai le relazioni dovrebbero fare eccezione? Oggi una relazione è un investimento come tutti gli altri. Nella migliore delle ipotesi, gli altri sono valutati come compagni d'avventura nell'attività del consumo essenzialmente solitaria: soci nelle gioie del consumo.